«Zooma sulla sua faccia. Così. Seguilo. Non perderlo. Fallo girare a destra. Ora. Ora dannazione!»
«È sicuro?»
«Che nessuno si permetta più di mettere in discussione ciò che dico. Non lo ripeterò. Fallo girare a destra, nessun ripensamento.»
«Aumento arousal…»
«Inizia a contare i passi bello… oggi ti prepariamo una bella sorpresa.»
CINETICA.
Nessuna sorpresa per la verità. Intuiva qualcosa, ma ciò nonostante continuò a camminare conscio di quel bell’affare in cui si stava andando ad impicciare. Caldo e umido. Ecco come si presentava il setting. Durante il percorso, accuratamente scelto, volse il suo sguardo in più direzioni ossessivamente, progressivamente, sempre più agitato.
«Si avvicina al target. Lasciamogli completare il percorso senza ulteriori variabili di disturbo.»
«Neanche per sogno. Introduzione soggetti S e N a cento metri dal soggetto, direzione nord-ovest. Ora.»
«Mi permetta di dissentire. Sa bene che in questo momento il farmaco sta agendo. Potrebbe avere ripercussioni negative.»
«Testiamo esattamente questo. Confermo quanto detto. Procediamo.»
La vecchia strada in pietra composta da lunghe e larghe lastre scure appariva come un susseguirsi di campi e canali che il ragazzo cercava di seguire con lo sguardo immaginando una città sopra la quale camminare, regnare serenamente, riposare ed evitare quel disastro imminente. Quasi a volersi salvare la pelle si chinò sotto il peso della borsa per vegliare, più attento, sopra quella città.
«Cosa fa? »
«…»
«Che cosa diavolo sta facendo?! Fatelo alzare! Ora dannazione!»
«Quindici secondi all’introduzione dei soggetti S e N…»
«Dai bastardo… alzati… solleva quella testa pesante…»
«Una distorsione del suo ambiente prossimale. Si sta rifugiando dentro di sé. Un effetto collaterale. L’avevamo avvertita.»
«Al diavolo. Insistiamo con l’adrenalina. Si alzerà.»
Nella città niente di più che qualche insetto. Una condizione alla quale ora era quanto mai vicino, pensò. Forse, in virtù di questo, abbandonò la sua posizione sovrana di osservatore e riprese a camminare. A pochi passi dalla piazza, spinto da qualche forza, volse lo sguardo a sinistra dando un addio al suo stato precario ma sufficientemente tranquillo. Era lì. La peggiore visione di tutte. Pochi secondi ma sufficienti a scuotere il soggetto. Una gestalt di corpi tremenda, inedita, spaventosa più di qualunque incubo, si impresse sui suoi occhi castani. Poi nulla più.
«Un ottimo lavoro!»
«Sta cedendo. Rischiamo di interrompere il contatto…»
«Non sarà necessario, lasciatelo in piedi il tanto di portarlo alla fine del percorso, resisterà.»
«Film lacrimale in aumento…»
Una musica. Senza una provenienza. Tuttavia essenziale nel permettere a quel corpo di muoversi ancora. Non di pensare, ma di muoversi. E poi una visione. Uno spazio, un prato enorme e due sorrisi che si addormentano vicini e si promettono eterna prossimità. Dunque una movenza della bocca del ragazzo. Essa si torse fradicia di strati acquosi e mucosi… e d’un tratto un sorriso.
Inaspettatamente quella serenità allucinata si ripercosse sul suo volto contorcendolo in un sorriso ad occhi alti, serrati, roridi.
«Cosa fa?! Sorride?!»
«Probabile meccanismo di regressione in atto. Il soggetto sta allucinando uno stato di serena regressione somatizzandolo in un sorriso.»
«Non riesco a crederci… dannato insetto…»
«È un buon segno, conserva un’integrata unità psicofisica.»
«Procediamo.»
«Lasciamo intatto questo stato semi-allucinatorio?»
«Direi di si. È bell’e morto dentro. Eppur si muove l’insetto…»
Si ritrovò attaccato ad una bottiglia, a quella umidità esteriore evidentemente si contrapponeva una forte aridità interiore, unica sensazione percepita, voleva tornare a casa, nient’altro. Era arrivato alla fine del percorso.
«Ce l’ha fatta. Riportate i soggetti S e N sul campo. Ora.»
Stette con gli occhi incollati a quella bella città che si era costruito a terra, edificando gioia e serenità, coltivando campi di speranza. Aspettava di tornare a casa, ma fu un attimo: sollevò gli occhi che subito si spensero. Anche il più forte dei sorrisi si contorse in una smorfia di dolore che serrava le labbra prosciugando nuovamente tutti gli stati liquidi all’interno di quel corpo per riversarli fuori, inevitabilmente, su quel viso contratto e distrutto.
«Sta reagendo. Percezione ancora funzionante… purtroppo per lui.»
«State pronti a registrare ogni singolo cambiamento.»
«Aumentate la prossimità tra S e N.»
«Ma signore…»
«Fatelo e basta.»
L’immobilità. Tutti gli arti e i possibili movimenti vennero eliminati dalle sue opzioni, costretto a guardare, ancora per qualche istante, finchè non riuscì a staccare lo sguardo e posarlo di nuovo sulla bella città ai suoi piedi chiedendo, implorando gli insetti di trascinarlo laggiù e proteggerlo da quel dolore insopportabile, tanto più che le sue sembianze erano sempre più simili a quelle dei piccoli abitanti. Si inchinò per l’ennesima volta, distrutto.
«Cosa sta facendo?»
«Si protegge… si nasconde…»
«Dannato idiota perché non reagisce contro i soggetti di disturbo?»
«Signore terminiamo qui il contatto. Non mi sentirei di continuare.»
«Neanche se ne parla! Massima prossimità fra i soggetti di disturbo! Livello intimo! Ora!»
Riuscì per l’ultima volta ad alzare lo sguardo verso due smeraldi una volta di suo possesso, ora socchiusi e appena visibili nascosti da un volto estraneo incollatogli sopra, prima di adagiare le ginocchia al suolo e rendersi conto improvvisamente di aver allagato quella parte di città che sottostava al suo volto bagnato e nella quale sarebbe voluto sprofondare.
«Dobbiamo interrompere. Abbiamo sufficienti dati. Non avrebbe senso continuare tanto più che non è un bello spettacolo, chiudiamo l’osservazione.»
«Maledetto idiota, la pagherà.»
Di nuovo quella musica. Di nuovo quell’immagine. Il sole era basso e pallido, ora che erano sparite il resto delle presenze, e con loro le proprie ombre, i suoi raggi potevano andare a toccare la città bagnata facendola brillare e risorgere, facendola apparire come un nuovo rifugio per quell’insetto.
Dissolvenza.
Quel pomeriggio non ce la faceva più, le sue mani tremavano e le gocce di lexotan stavano ormai evaporando tra i suoi tessuti sempre più asciutti, componenti di un’anima in fiamme, già bruciata da qualche mese. Prese il telefono e compose l’ultimo numero che avrebbe dovuto comporre. La sua voce, appositamente modulata per mettere in atto la consueta scena da melodramma, era pronta a riversarsi mesta sul microfono, ma qualcosa mutò: dall’altra parte del telefono singhiozzi. Chiari, palesi, chiarissimi singhiozzi da sgorgamento di film lacrimale. Risuonarono nelle sue orecchie come qualcosa di sconvolgente, come se rivelassero chissà quale verità nascosta dietro le sue ultime avventure che l’avevano vista così felice e sicura di sé.
Schiarì il tono della sua voce e si ricompose, pronto a prestare aiuto alla fonte di suoi stessi dolori.
E ci furono le parole, le sensazioni, le rivelazioni. Reciprocità e non reciprocità in circa dieci, quindici minuti durante i quali quell’insetto venne schiacciato amorevolmente, lasciandosi dolcemente schiacciare, riversando tutti i più dolci liquami a nutrire quella fonte che si riempì nella giusta quantità, il tanto di recuperare il liquido perso poc’anzi, non di più. Nulla per cui l’insetto dovesse sentirsi ringraziato in modo particolare.
E si chiuse lì.
«Cosa fa ora?»
«È morto, signore.»
«Non vorrà piangerlo, chi è causa del suo male pianga se stesso!»
«Chiudiamo il contatto?»
«Io…Mi chiedo cosa spinga una persona a nutrire la sua sofferenza, a innaffiare la pianta spinosa nel suo cuore, ad affilare con cura gli stessi coltelli che lacerano la sua anima!»
«Beh, i rapporti umani si nutrono di disordini, complementarità incomplete, tentativi di incastro che generano sorprese stupefacenti, brividi inaspettati! Ma anche delusioni tremende e atroci sofferenze… Forse è tipico di questa razza, signore.»
«Non dica idiozie. Che dire di tutti gli umani più grandi che perseguono la propria felicità, il proprio benessere! E se questo presuppone il conflitto o un essere egoistico… E sia! E sia pure così!»
«Il benessere può scaturire anche dal rispettare chi si ama… dargli un conforto.»
«…Lei non sa cosa manca in quest’uomo, vero?»
«Credo di saperlo, signore. Egli manca di forza.»
«Lei non capisce, davvero. Di cinismo si tratta. E di null’altro. Chiudiamo il contatto senza versare una lacrima.>>
Di
Elias P. Casula
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