Questa è la storia di un albatro ferito che prese il volo in una mattina di Giugno.
Dall'altezza della gru si gettò nel roboante vuoto sottostante, aprendo le ali talmente tanto quanto fosse il dolore che provava nel farlo.
Voleva andare oltre i suoi limiti, l'albatro, la vecchia e arrugginita amica gru stava andando in disuso, abbandonata lì da mesi, dal freddo degli umani, dal giorno alla notte, come niente fosse, come non avessero voluto dire nulla tutti quegli anni di fedele lavoro.
Gli pareva assomigliasse a una delle attempate signore che, nelle mattine d'estate, portavano i nipotini lungo la diga, in un lunga passeggiata per mostrare, far capir loro cos'è il mare e suoi abitanti, nei significati più profondi, in quei momenti atterrava sugli scogli e con fare disinvolto si avvicinava tanto da poter prendere il cibo che le anziane gli porgevano.
Dicevano ai loro secondi figli di come gli albatri rappresentino la liberà: bianchi, eleganti e portatori della capacità di volare sopra le acque, viaggiare ovunque avessero voluto, rendendo conto unicamente a se e alla natura.
L'inferno di piume faceva male: nell'iniziare dell'ala destra il sangue cupo, segno del tempo, faceva sembrare la ferita un po' guarita, ma in verità sotto persisteva il dolore, un dolore nato dal colpo di fionda d'un ragazzino, dalle sue risa di soddisfazione e dall'estrema calma mantenuta nel mollare l'elastico.
Ma la vista dell'azzurra superficie sottostante lo rincuorava, i paesaggi visti durante le traversate avevano sempre curato per qualche minuto, completamente, le ferite e i suoi timori, alla luce del sole l'acqua era un mare di cristalli, luccicanti e talvolta sbavati, un dipinto proveniente da una realtà fantastica.
Sbatté lentamente ma con decisione ambedue la mani di piume, e sentì lenire ogni brutta sensazione dal corrente d'aria, che fresca e gentile lo accompagnava nel volo, nell'iniziar dell'anima del mondo, sentiva distintamente i suoi pensieri e le sue emozioni, la Terra gli parlava a bassa e sciolta voce.
Gli raccontò di come anch'essa stesse male, di come una parte dei suoi figli la maltrattasse con una parte delle azioni compiute, più che infelice per il corpo era infelice per lo spirito, stavano inquinando anche quello, che pure per essi, nella medesima sostanza e nel medesimo modo, rappresentava la vita.
La corrente venne bruscamente interrotta da una serie di fragorosi scoppi, provenienti da una scintillante nave bianca, sul cui ponte veniva festeggiata la prima partenza, per il dolore che tornò più intenso di prima, l'albatro fu costretto a posarsi sulla mano sinistra d'una consumata e rovinata statua, raffigurante Cristoforo Colombo, ''come cercano di copiare noi albatri gli umani'' pensò il viaggiatore, per quanto barche o aerei fossero ben progettati non avrebbero mai potuto eguagliare il volo d'un uccello marittimo, continuava a mancare il rispetto all'esperienza e alla natura del volo, non sapevano ancora bene che volesse dire farlo e far tesoro dei panorami visti.
A cerimonia terminata, l'albatro si mosse con un battito di ciglia d'ali, planando cosi nelle viuzze di quel paese di mare, con le case tinteggiate da svariate tonalità di rosa, blu e giallo, si spostava tra i bianchi panni stesi ad asciugare.
Nella piazza centrale, all'ombra protettrice dell'alto campanile, si apriva un vasto mercato, banchi di uomini e prodotti, e prodotti di uomini, che vendevano la loro merce, le loro anime, mischiati a chi le comprava; Dall'alto vedeva una pavimentazione di mattonelle quadrate divise tra chi voleva una vita ricca, di denaro, e chi, in svendita, la voleva acquistare, perché anch'esso ne era privo.
Vedeva scorrere quelle immagini, come fotogrammi d'una passata pellicola 8mm, sotto di se, l'ala tornò a far più male del vuoto di quei secondi, costringendolo a fermarsi sullo spigolo di un capitello.
Un mercante, alla vista dell'uccello, prese una cassetta vuota e gliela tirò addosso, sbraitando: ''vattene uccellaccio!'', l'albatro si spostò allora su un malconcio carretto, ma anche da lì fu costretto a fuggire, cacciato da un'anziana signora, inneggiante maldicenze e agitante una scopa spagliata tra le mani.
I due spostamenti furono troppo rapidi per le sue precarie condizioni, riuscì in un accenno di volo, che lo portò a posarsi su un banchetto, vendente foulard colorati, quanto era soffice quella coperta di sottili veli sotto le piume! Il riposo cominciò ad espandersi lungo tutto il corpo e l'ala malata gli sembrò meno tormentata.
Dietro, un uomo mingherlino, gli sfilò da sotto i tessuti all'improvviso, spingendolo a librarsi via, nuovamente, lontano da quel posto inospitale.
Non erano capaci d'accettare e convivere con esseri diversi; La frustrazione di vita, incattivendoli, rendendoli soli, gli impediva di aver serenità per andare oltre i limiti e aprire la mente a cose nuove, a viventi nuovi.
Trovò così riparo in una grande terrazza, d'una abitazione apparentemente disabitata, racchiusa tra i tetti di due palazzi del centro del paese, anch'essi in vistoso abbandono, nessuno lo disturbò ma il forte vento, proveniente dal mare, era tagliente e pungeva sul corpo già abbastanza provato, trascorse lì le ore successive, solitudine che vide l'arrivo della tepore della sera.
L'albatro, oramai stanco, si diresse lungo una fila di vecchie e alte case, a ridosso della laguna, nelle strette viette che le dividevano vedeva bambini giocare rincorrendo un pallone, cercando di sovrastare il rumore delle barche che partivano, passavano o attraccavano.
Tra un edificio e un altro panni venivano stesi sui fili, andando a macchiare di bianco il rosso carico e scuro o il rosa lieve di cui erano strisciati i muri esterni.
Un uomo dall'alto di una terrazza, prendente tutto un tetto, ammirava l'orizzonte.
Era un giovane dallo sguardo sottile e sereno, le pupille, che lasciavano trasparire il loro intero mondo interiore, brillavano, l'albatro si domandò se era per gli ultimi raggi calanti che le illuminavano, o per una felicità innata e naturale che le pervadeva.
Si domandò da dove provenissero, ma dentro sapeva che l'anima del mondo e di chi vive si trova tra cielo e terra, tra il marrone dei campi, il grigio delle strade di città, il blu del mare e il celeste del cielo, il nero profondo dello spazio.
Nell'aria fresca della sera, in quel posto sopra, oltre la normale realtà umana, si respirava tranquillità e l'uccello aveva chiuso lentamente le sue ali, trovando ristoro sul cornicione di ferro chiaro a pochi centimetri dalla persona che cercava di comprendere, come stesse slacciando i nodi delle corde di una nave.
L'uomo non si scostò minimamente, immise nella corrente passante alcune parole, rivolgendosi all'albatro ferito: ''vedi, caro amico mio, l'amore, in ogni sua sfumatura, è come questo mare, può inghiottirti o farti navigare, nuotare nel piacere della sua superficie, tra intensità e leggerezza, dipende unicamente con che occhi lo guardi''.
L'uccello si girò istintivamente, le loro viste s'aprivano all'orizzonte, sulla vastità mediterranea: metallo chiar'azzurro spruzzato dal rosa tenue e rarefatto dell'incombente sera, scivolante come un fine velo dalla gambe del mondo, per lasciare posto a quello che v'era sotto, agli onirici, misteriosi piaceri della notte.
Nessuno avrebbe voluto abbandonare quei minuti di benessere, ma erano consapevoli che le ore successive non sarebbero state da meno, sarebbero state meglio, il mondo così gli parlava, lo sentivano naturalmente, decisero di seguire quel senso di sicurezza, salente come la luna nei medesimi istanti.
L'albatro spiccò deciso il volo dirigendosi nel retro della casa, verso la laguna, la quale dopo pochi metri immergeva la terra in un mare di pescatori, storie e avventure.
Buoni profumi di cene cucinate in casa provenivano a tratti dalle finestre, illuminate dalle prime lampadine accese, il retro delle abitazioni, messe in fila una dopo l'altra, era bordato da una lunga via pedonale, lastricata di liscia e levigata pietra bianca, zona evidentemente da poco messa a nuovo.
All'angolo destro di una delle viuzze, nel suo finire in discesa verso le barche, l'acqua verde, un po' torbida e i pali alti e grossi, coprenti parti del globo arancio acceso dell'ultimo sole, un uomo chiudeva la porta di un minuscolo negozio di alimentari, minuscolo come il baretto a qualche metro sulla sinistra, dove una malandata radio dagli anni '60 trasmetteva ancora canzoni popolari a singhiozzo, portando suoni di Mina e Tenco agli anziani che, sui tavoli di bianca plastica sporcata dall'incuria, battevano le carte, accendendosi a turno sigarette delle più improbabili marche.
Solo il fumo dell'unica pipa presente riuscì a durare talmente tanto, prima di disperdersi, da arrivare così in alto da oscurare parzialmente l'illuminazione di uno dei lampioni, che s'accesero nella noncuranza generale.
Il barista, però, sorseggiando una tazzina di caffè, nell'attesa di qualche nuovo, malcapitato cliente, s'accorse dell'aura dorata che regalavano a quel piccolo e intenso mondo, lo facevano sembrare uno di quei nascosti borghi parigini bohémien, tra edifici passati e malandati, abbozzate perfezioni e ricchezze uniche di particolari.
L'albatro stava con le zampe basse e le ali raccolte, a guardare gli occhi fissi e lucenti dell'uomo col caffè in mano, raffreddatosi lungo il trascorrere del tempo, l'uomo spostò lo sguardo, lo alzò e, accorgendosi dell'uccello, gli sorrise serenamente, i denti erano ingialliti dall'età e della sigarette, carichi di contentezza per quella sua vita, quel suo lavoro sempre a contatto con le persone, d'ogni tipo, dalle, come lui, semplici, alle più disparate, un mosaico d'umanità composto da turisti e singolari soggetti, varietà d'esperienze, emozioni e condivisioni.
Pungente salmastro, dall'acqua che timidamente s'infrangeva sul molo, arrivava al respiro, come ultime reti fatte su da pescatori e ormeggi lanciati in porto da marinai, dopo un'intera giornata passata al largo.
L'albatro decise che era ora d'andare, l'ala era tornata a dolergli non poco, il dolore gli premeva sul corpo, forse non avrebbe dovuto muoversi tanto vista la sua situazione, ma si disse che ne era valsa la pena, a fronte dell'esperienza vissuta e delle cose viste nel trascorrer delle ore.
Prima la vita, il muoversi, in ogni suo aspetto, e poi il resto.
Stringendo il becco s'alzo in volo, andando sempre più in alto, riuscendoci, tanto da vedere una cucina all'ultimo piano, dove una famiglia s'era appena seduta a tavola, numerosa e confusa in quel frastuono di voci, ma felice d'esser tutta assieme.
Girando il capo e il corpo per dirigersi verso sinistra, notò un piccolo puntino nero che gesticolava qualcosa, il dolore continuava ad aumentare e la vista per qualche secondo gli si appannò, cercando di mettere a fuoco si rese conto essere il proprietario del bar, che, con la mano all'altezza dei folti capelli neri, lo stava salutando.
In quella parte d'umanità qualcosa era diverso, la cattiveria pareva non esistere e che fossero tutti più buoni, forse il contatto diretto col mare scioglieva il calore degli animi, come distese di bruna cioccolata calda che all'imbrunire sciolgono il vento gelido, preso in mare nelle prime ore mattutine, quando si esce con le barche.
Volò oltre le imbarcazioni, le case, le piazze e le loro bancarelle, piene d'oggetti d'antiquariato che i commercianti stavano disponendo per il mercatino della sera, la banda musicale provava nell'anfiteatro sul mare, che indifferente al di sotto sbuffava per la stanchezza, dopo un'interna giornata di lavoro, tranquillo e limpido, sulla spiaggia un ragazzo e una ragazza mangiavano della pizza, facendo toccare le punte dei loro nasi, mentre l'allegria si disegnava gioiosa e orgogliosa sui loro volti, guardarono successivamente il velo d'acqua e la sagoma nera dell'albatro delinearsi sul grande sole circolare, sciolto e sempre più sbiadito nell'incontro con la linea dell'orizzonte.
Prendendo spunto dagli innamorati, l'animale decise d'andare a liberarsi dei brutti pensieri, contemplando lo spettacolo di vita e della natura, sopra uno scoglio, sconosciuto ai più.
Puntava nell'immensità e unicamente il suono del vento era udibile, raggiunto la punta arrotondata di roccia, scese e si strinse ad essa.
La notte stava calando dall'alto dello spazio, penetrando nelle terra e nelle acque, ombra blu elettrico attraversata da una corrente alternata, imprimente il fuoco delle scosse e delle scintille sulla volta celeste, genesi delle stelle.
Gialli, arancioni e rosa scomparirono progressivamente, i suoi splendenti occhi scuri si chiusero nel fuggire di un secondo, dopo il qualche concluse l'ultimo respiro delle sua vita.
In quelle ultime scene viste, in quegli ultimi momenti trascorsi, sapeva ancora esserci una speranza di vita, in quella magia, per un'umanità al collasso, e per il mondo che aveva in mano, il quale avrebbe dovuto curare invece di trattar male.
Ne fu sicuro al tramonto: per un domani migliore, un nuovo giorno, non c'è altra via che la notte, un nuovo giorno migliore sotto ogni aspetto, rispetto al precedente.
L'albatro sarebbe rinato a nuova vita, come fenice nell'incendio del sole del mattino, ma adesso era cullato dal blu oscuro del mare, in cui risplendeva, riflessa, una costellazione di stelle.
Ottobre 2011
Di Matteo Molon
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