venerdì 23 dicembre 2011

Hot Dog

Lo riconobbe subito. Era uno stupido tatuaggio che rappresentava nientemeno che un hot dog fumante. Un hot dog! Ripensò alla stessa cosa che gli era venuta in mente la prima volta che aveva visto quello stesso segno permanente sul culo di Jimmy: “come cazzo fa uno a incidersi per sempre una tale stronzata sul suo sacro culo”.

Quella volta però, a questo pensiero ne era presto seguito un altro, nella mente di Marco. Già, perché la prima volta che vide Jimmy, il buon vecchio Jimmy, questo si stava scopando indisturbato la sua ragazza (e con “sua” intendo di Marco), quella gran troia di Nicole. Risulterebbe banale riferire le bestemmie e i pensieri omicidi che gli erano venuti in mente, in quella luminosa mattina di un sabato di circa un anno prima.

Quando rivide l’inconfondibile orrendo hot dog sullo stesso culo moscio, Marco fu sicuro che si trattasse di Jimmy. Lesse il referto medico, si voleva accertare la causa di morte di mister tatuaggio-del-cazzo. Sul gelido tavolo autoptico, quello stronzo di Jimmy era nudo come un verme, bianco, maleodorante. In una parola, puzzava proprio di morto. Era passato a miglior vita soffocando, a quanto pareva, e la causa Marco già la sospettava. Quel vecchio porco aveva fatto chissà quali giochetti erotici, magari usando qualche bell’hot dog caldo e grosso per ficcarselo nel culo, vista la citazione sul suo corpo. E certamente maneggiando il suo. Però aveva commesso l’errore di legarsi con una corda al collo, per godere di più, traendo forse spunto dalla volpe di David Carradine, morto per un simile, piccolo ma fatale errorino di masturbazione.

Il nostro Jimmy non era, quindi, certo un genio, gli aveva fottuto la ragazza è vero, ma visto il quoziente intellettivo di lei era probabile che avesse trovato una maggior affinità intellettiva (o elettiva) per lo scimmione dal corpo palestrato che ora Marco si accingeva a squartare.

Ma il motivo per cui questi non riusciva a darsi pace, quel giorno grigio in quella stanza squallida illuminata a neon dell’obitorio, davanti al tavolo d’acciaio con mille bucherelli per far scolare il sangue dei tanti cadaveri che si erano offerti come vittime sacrificali alla scienza, quel tavolo intriso di morte, quasi palpabile nell’aria, e che ora accoglieva gelido il corpo di quel fottuto Jimmy; ciò che non gli permetteva di prendere in mano e utilizzare forbici scalpello sega e segatura per infarcire di nuovo quel tacchino dalla faccia butterata e con un’espressione di pseudo godimento per quell’ultimo fatale orgasmo; la ragione, insomma, per cui Marco era paralizzato dalla rabbia mista a delusione, era che Nicole - che da un anno ormai per lui era semplicemente La Gran Troia (nelle varianti Big Bitch o Sboldra - per gli amici di Marco), aveva giustificato il fatto di essersi fatta scopare quel sabato mattina da Jimmy wurstel-sul-culo con la semplice affermazione: “ce l’ha grosso, più di te, e mi fa veramente godere dopo anni. Ha un gran bel wurstel, capiscimi”. Lei, la stessa Nicole che si era ripetutamente lamentata della loro vita sessuale, della mancanza di desiderio tra loro, e che aveva addirittura chiamato a testimoniare nel tribunale dei litigi di coppia le dimensioni a suo dire troppo ristrette del pene di Marco. Lei, la Sboldra…

Quel ricordo balenò nella mente di Marco, e lo pietrificò: quel cadaverico Jimmy, bastardo stecchito, gli stava mostrando chiaramente un pene di dimensioni irrisorie, esaltandolo anche grazie alla depilazione integrale nella regione pubica che si fa ai morti, analogamente ai polli che vengono spennati per essere macellati e trasformati in squisiti e genuini chicken mcnuggets . Neanche il suo amico Pippo, soprannominato Small Dick, poteva raggiungere dimensioni altrettanto imbarazzanti. Il buon Jimmy avrebbe potuto vincere il primato di cazzo più piccolo in quei concorsi fenomenali cui partecipano in primis giapponesi, seguiti da altri uomini prevalentemente caucasici (di negri se ne vedono pochi da quelle parti, per noti motivi anatomici) privati di ogni forma di dignità e accomunati dalla “qualità” di avere un compagno di vita di dimensioni ridotte, lì sotto.

Il fatto che La Gran Troia l’avesse preso per il culo non lo faceva essere lucido, non riusciva a controllare la sua freddezza e obiettività di anatomopatologo.

Non si rese neppure conto, quindi, di aver già impugnato il bisturi e di averlo puntato verso ciò che letteralmente incarnava il casus belli della rottura tra lui e Niky La Sboldra.

La fine di questa storia la si può immaginare. Ora Marco ha appena finito il periodo di sospensione dall’Ordine dei Medici, non ha lavorato per parecchi mesi, durante i quali è andato in Giappone e ha partecipato a svariati concorsi di Chi ce l’ha più piccolo? o Qual è il mikado più fino?, non vincendo mai ed esultando per le sue sconfitte. Ora si sente meglio, ha perso dignità e reputazione sociale, tanti lo hanno creduto un pervertito e sua madre è schiattata fulminata da un infarto dopo che nel paese calabrese dove viveva (sì, dico calabrese proprio per sottolineare il fatto che i terroni non si fanno i cazzi loro) si sparsero le voci sui concorsi che suo figlio faceva, cose vergognose e disonorevoli, “Mazzi e panelli fannu i fighhi belli, pana senza mazzi fannu i figghi pazzi”, e ci lasciò quando un suo nipote le fece guardare il video tratto da Quale fallo riuscirà a passare attraverso la serratura?, in cui il suo Marco si classificò settimo (peraltro, la vecchia soffriva di problemi cardiovascolari ed era pure paraplegica, quindi per certi versi è stato un dono del buon vecchio dio chiamarla al paradiso degli storpi, dove oggi finalmente si sente integrata).

Ma dopo tanto tempo, ora finalmente Marco sta meglio, e ha la consapevolezza di avere un pene di nuovo valore. Ha comprato così la sua virilità. A caro prezzo, qualcuno dirà. Ma che prezzo ha sentirsi nuovamente un uomo? Cosa può valere di più della libertà di poter insultare a cuor leggero gli omosessuali o di guardare un film di Ozpetek ed esclamare: “che froci del cazzo”?


Vi domanderete che fine abbia fatto il pene di Jimmy, una volta evirato da un Marco tremante e rabbioso, ma al tempo stesso orgoglioso del suo membro rinato, per la prima volta dopo tanti anni di sofferenza, di pianti notturni, di pugni sulle sue palle che non riusciva ad accettare.

Beh, Marco pensò bene di impacchettarlo in una pellicola domopak, il tutto avvolto poi da carta stagnola, sembrava quasi un kebab. O un hot dog. Lo mise in un pacco e spedì il regalo all’indirizzo:

Nicole Gran Troia De Sanctis, via delle Verghe, 51 - Torino

Un biglietto accompagnava il regalo di Marco per la sua ex fidanzata. Un biglietto di poche righe, essenziale ma significativo, che chiude il cerchio di questa storia:

Ecco il tuo hot dog di carne fresca, veramente piccolo, ma perfetto per uno spuntino. Allego salsa rosa. Non ideale per microonde.

Giulio Pivot

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